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Gianni Maroccolo con i Timoria, in studio e a Sanremo

I ricordi del musicista, tratti dal libro "Memorie di un Sonatore di Basso"
Gianni Maroccolo con i Timoria, in studio e a Sanremo

Sono stati pubblicati due libri complementari, usciti nel 2025 per Libri Aparte Editore, al termine di una campagna di crowdfunding di successo che ha raccolto l’adesione di 738 co-produttori: "Il Sonatore di Basso" – una raccolta di trascrizioni su spartito e tablatura delle parti di basso di oltre 100 dei brani più rappresentativi della carriera di Gianni Maroccolo – e "Memorie di un Sonatore di Basso", che racconta la genesi e l’evoluzione di quei brani, svelando aneddoti, riflessioni e retroscena sulla sua musica. Da quest'ultimo, per gentile concessione dell'editore, traiamo questi bani relativi alla collaborazione di Maroccolo con i Timoria.

Francesco Caprini, l’inventore di uno dei primi contest, Rock Targato Italia, era diventato il manager dei Timoria e mi propose di produrre il loro album di debutto, Colori che esplodonoGrazie a Francesco, i Timoria avevano firmato un contratto discografico con la Polydor e quindi, dopo anni di esperimenti e studi, finalmente mi trovavo di fronte alla possibilita di lavorare con un buon budget, in uno studio ben attrezzato e con un’ottima band emergente.

Si, ma anche con una notevole responsabilita sulle spalle: dal mio lavoro dipendevano la buona riuscita del disco e il compito, non facile, di soddisfare le aspettative dei Timoria, di Francesco Caprini e della Polydor.

Chiesi a Giorgio Canali di collaborare alla produzione del disco e, dopo una breve pre-produzione a casa di Omar Pedrini, iniziammo a lavorare in studio a Brescia. Con i Timoria decidemmo di registrare il piu possibile in “diretta”, suonando tutti insieme e cercando la versione magica di ogni pezzo. Mi piacevano i Timoria: le canzoni scelte per il disco erano molto belle, il suono della band era personale e avevano un modo tutto loro di fare musica. Omar era il leader indiscusso, la sorgente creativa e propulsiva di ogni cosa; Francesco Renga aveva un timbro vocale impressionante; Diego Galeri, Enrico Ghedi e Carlo Alberto Pellegrini erano tutti bravi musicisti, felicemente al servizio dell’insieme.

Una volta sistemati arrangiamenti e strutture dei pezzi, il mio compito fu quello di metterli a loro agio in studio, aiutarli nei momenti di difficolta e farli suonare. Lavorammo tantissimo sulle dinamiche e sull’espressivita, sia degli strumenti che delle voci, cercando di eliminare il superfluo e ogni inutile orpello. Non ricercavo l’esecuzione perfetta, ma quella emozionalmente piu forte, la piu credibile e vicina al loro sentire.

Il mio lavoro e quello di Giorgio furono agevolati molto dall’incontro con Dario Caglioni, un ingegnere del suono bravissimo ed esperto, che ci assistette amorevolmente in ogni fase della lavorazione del disco. Mi sentivo protetto: mi rassicurava e risolveva ogni problema sempre con il sorriso.

Finimmo il disco nel suo nuovo studio di Milano, dove registrammo qualche overdub per poi missare su un banco Cadac, un mixer stupendo. Anzi, piu che un mixer, un termosifone: un generatore di armoniche e di un suono unico.

I Timoria erano contenti del loro primo album, Francesco Caprini anche, e cosi mi pare sia stato anche per la Polydor.

La mia prima volta a Sanremo fu nel 1991 con i Timoria. Entrai nella regia audio barcollando per l’emozione: c’erano cinque mixer giganteschi in fila, uno di fronte all’altro. Su ciascuno due casse acustiche; l’effetto generava un apparente frastuono sonoro indecifrabile. In realta, ogni mixer si occupava di una sezione specifica (orchestra, gruppi con batteria, cori, ecc.) e, a catena, mandavano tutto all’ultimo, che si occupava principalmente di aggiungere e miscelare al resto le voci e gli effetti.

Il responsabile mi disse subito che potevo scordarmi di missare i Timoria, perche nessuno, a parte i tecnici residenti poteva operare sui banchi (ovviamente tutti analogici e non programmabili!). In quel caos, che avrei potuto fare? Da quella sala veniva messa in onda la performance sonora di ogni artista, quella che tutti avrebbero ascoltato in TV e alla radio. Un missaggio sbagliato, uno strumento troppo alto, un suono confuso, una voce poco leggibile… Bastava nulla per rovinare un’esibizione.

Cercai di approcciarmi con gentilezza e umiltà a ogni fonico responsabile della propria sezione, facendo poche richieste di modifica, solo quelle essenziali. E cosi, passando da mixer a mixer, arrivai in fondo, dove finalmente potei ascoltare il risultato finale. Mi sollevai un po’: era tutto piu che accettabile. Certo, ma erano solo le prove pomeridiane. Tutte le impostazioni venivano meticolosamente segnate, ma era ovvio che la sera dell’esibizione sarebbe stato comunque un terno al lotto.

Salgono sul palco i Timoria. Mentre stanno per iniziare, mi accorgo dal line check che non mi arriva la chitarra di Omar; sudo freddo! Chiedo aiuto ai fonici, ma per loro e tutto ok. Parte il pezzo e, dal monitor video, vedo Omar che alza velocemente il volume della sua chitarra che, credo per l’emozione, aveva dimenticato chiusa. Con un pelo di ritardo, il suono arriva. Corro tra mixer e mixer, chiedo modifiche e, quando arrivo all’ultimo, mi rendo conto che il pezzo sta finendo, ma il missaggio e piu che discreto.

Scendo velocemente nei camerini e vedo tutti contenti: ora posso rilassarmi un po’ anch’io. Ma per poco, perche il giorno dopo l’emozione fu ancora piu forte: i Timoria, con la canzone L’uomo che ride (contenuta nell’album Ritmo e dolore, da me prodotto), vincono il premio della critica.

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